Home / 2023 / March

L’autore pur non essendo ebreo di origine si è interessato di una comunità che in Sardegna si è integrata senza alcuna difficoltà, forse unico caso nella storia delle diaspore europee. Per questo motivo l’autore ha affermato anche pubblicamente che “Noi sardi abbiamo tutti una goccia di sangue ebreo”.

Nell’interessante libro di Moncelsi si ripercorre la storia degli ebrei nell’isola,  giunti per la prima volta a seguito delle migrazioni dei popoli del Mediterraneo in epoca pre romana, ma  fu al tempo dell’imperatore Tiberio, nel 19 dell’Era Volgare che venne inviato nell’isola un consistente contingente di 4000 soldati. I soldati ebrei vennero arruolati a forza perchè la comunità israelita di Roma stava diventando sempre più numerosa ed era dunque considerata un pericolo. In questo modo l’imperatore sperava di eliminare il problema ebraico nella capitale e allo stesso tempo fare in modo che ebrei e sardi si massacrassero a vicenda. Non fu così perchè i  soldati nel tempo si integrarono con la popolazione locale come testimoniano i numerosi reperti archeologici ritrovati a dimostrazione del radicamento della comunità nell’isola.

Dopo la dissoluzione dell’Impero romano gli ebrei sardi continuarono ad espandersi e ad avere le loro comunità e le loro sinagoghe, come confermano anche le lettere di papa Gregorio Magno il quale al clero locale dava disposizioni intorno all’atteggiamento da assumere in relazione agli ebrei di Cagliari, esortandolo a rispettare il culto praticato nella loro sinagoga.

Il saggio ripercorre le vicende della comunità sarda fino all’editto di Granada che ebbe come risultato la cacciata anche dall’isola degli ebrei nel 1492. Molti decisero di restare,  ma furono costretti alla conversione e a nascondere ogni segno di appartenenza alla cultura ebraica per non destare I sospetti dell’Inquisizione. Le tracce allora della comunità si persero nel tempo, tanto che alla  vigilia del secondo conflitto mondiale, il censimento del 1938 quantificò in 67 il numero degli ebrei nelle tre province sarde e su di loro si applicarono le restrizioni previste dalle “leggi razziali”, ma non vi furono deportazioni.

Nonostante questa difficile storia ancora oggi secondo Elio Moncelsi è possibile riconoscere moltissimi cognomi ebraici di origine sefardita e usanze e riti che riportano alla cultura ebraica diffusa capillarmente nell’isola.

Di seguito il link alla registrazione della conferenza:

Title

Lo spettro delle cavallette è tornato a ripresentarsi nelle campagne isolane, soprattutto in quelle più interne e delle piane siccitose. Tremano a Ottana, a Noragugume a Bitti dove lo scorso anno l’invasione delle locuste aveva devastato campi e raccolti. Erano così tante che persino gli automobilisti di passaggio per le strade di collegamento dovevano tenere i finestrini chiusi per non rischiare di trovarsi l’abitacolo invaso.

Yoav Motro Ottana
Yoav Motro Ottana

La scorsa estate quando ormai le cavallette si erano moltiplicate ed era difficile trovare una soluzione immediata, gli esperti israeliani che accompagnavano la delegazione dell’ambasciatore Dror Eydar in visita nell’isola, si erano recati a Ottana per un sopralluogo e avevano dato consigli utili ai responsabili del settore agricoltura della Regione.

La delegazione era guidata da Yoav Motro, considerato in Israele, la massima autorità nella lotta alle locuste che già allora aveva proposto una campagna di monitoraggio, controllo e disinfestazione con l’aiuto dei droni.

Un metodo che aveva anche riproposto ai sardi partecipando al convegno tenutosi a Cagliari il primo dicembre dello scorso anno:  “agriVerso Agricoltura 5.0, Israele incontra la Sardegna” organizzato dall’associazione Chenàbura in collaborazione con la Confagricoltura Sardegna.

in quell’occasione  Motro aveva spiegato una semplice formula per vincere la battaglia contro questi insetti divoratori: “Tecnologia, con l’utilizzo dei droni, scienza, con l’aiuto di esperti, ma soprattutto un ‘comandante’ che opera e prende le decisioni sul campo”.

In una intervista rilasciata al nostro giornale Yoav Motro si era espresso in questo modo: “gli Israeliani non si possono permettere il lusso dell’inefficienza, abbiamo combattuto le invasione di cavallette con successo in Giordania, In Israele, In Etiopia in luoghi dove le cavallette potevano affamare milioni di persone. La nostra esperienza sul campo durante queste diverse campagne, ha creato un metodo abbinato ad una tecnologia molto efficace, che dobbiamo ancora continuare a sviluppare per il bene di tutti. In un mondo in crisi come il nostro, la produzione alimentare va salvaguardata e diventiamo molto più attenti a non perderla. Quando prima si poteva pensare di semplicemente compensare l’agricoltore adesso bisogna proprio proteggere la produzione e I droni sono uno strumento che permette di fare questo”.

I tempi della burocrazia però non sembrano eguire quelli della natura e tantomeno quelli della riproduzione delle cavallette. Oggi la Sardegna è spaventata, i sindaci hanno chiesto interventi immediati alla Regione Sardegna e la resposnabilità di coordinare la campagna contro le cavallette è stata affidata ad un ente pubblico, Laore che sta cercando di accelerare i tempi per chiedere le autorizzazioni necessarie all’utilizzo dei droni almeno per il monitoraggio.

Gli esperti israeliani con la società Alta sono pronti a fare la loro parte.

Di seguito un video in cui i droni di Alta lottano contro le cavallette

Il 6 ottobre 1938 venne pubblicato il famigerato manifesto della razza fascista e monarchico.

Già dal novembre 1938, a seguito della pubblicazione il 14 luglio del precedente decalogo della razza, sottoscritto da professori, scienziati ed intellettuali fascisti che il regime fascista intendeva accreditare di una credibilità scientifica che in realtà era fasulla e criminale, Emilio Lussu sardista e dirigente massimo di Giustizia e Libertà a Parigi pubblicava questo rovente e ironico articolo.

Ormai era chiara l’adesione anche ideológica del fascismo al razzismo del nazismo alleato.

La voce di una idea mussoliniana di deportazione degli ebrei in Sardegna, ispiró il pensiero di Emilio Lussu, che oggi appare quasi profetico nel prefigurare una Repubblica sarda e un esercito sardo-ebraico a sua difesa che poi in realtà dopo la Shoah si é realizzato nella Palestina mandataria come concretizzazione del sogno sionista con lo Stato d’Israele.

La festa degli alberi non è una festa sacra, ma per la comunità ebraica è altrettanto importante. Nella sede dell’associazione Chenàbura di Cagliari, domenica 5 febbraio,  si è voluto ricordare il significato di questa ricorrenza nella quale si usa mangiare  frutta di ogni varietà sia fresca che secca disposta ordinatamente in un grande piatto, secondo un preciso ordine.

Tu Bi’Shvat ha un significato profondo, non solo perchè ricorda lontani progrom, ma anche quello più recente della Shoa.

Ha provato a spiegarlo in un articolo l’ex ambasciatore di Israele Dror Eydar ospite nell’isola e dell’associazione lo scorso giugno.

Festa degli alberi

Festa degli alberi

Secondo Dror Eydar la festa non è soltanto un ricordo di ciò che ha profetizzato Ezechiele in Babilonia (attuale Irak),  2500 anni fa, in mezzo ai  profughi e esiliati ebrei  dalla Giudea (era il 570 a.C.), ma anche un segno della grande impegno degli ebrei nei ocnfronti della natura.

Nel suo articolo l’ambasciatore richiama la  profezia della “Valle delle ossa Secche” e poi l’ altra profezia sempre di Ezechiele  che parla del “ Vento che porterà le ossa secche dalle tombe e le poserà in Israele piena di alberi da frutta”. È il ritorno degli ebrei dalle diaspore di Babilonia (Ciro il Persiano) e Herzl  nel 1900, dalla diaspora Europea dopo  2000 anni.
E qui entra l’inno di Umber “Hatikva” di pari età per scaldare i corpi e le ossa secche e bruciate nelle camere a gas e crematori di AUSCHWITZ per il secondo ritorno degli ebrei dopo la Shoà e il ritorno di Israele (Palestina – Terra Santa) alla “Terra promessa stillante latte e miele” ,  come si legge nella Bibbia orale del 1400 a.C.
Ricorda Dror Eydar: “da bambini andavamo a Tu’Bishvat in fila vestiti in Chaki o bianco – celeste con i vecchi del paese in testa e i maestri e le maestre con le zappe in mano e noi con le piantine (carrube o pini ) verso una collina di Zikhron cantando le canzoni di Tu Bi’svat per piantare nelle buche già  pronte,  con l’aiuto dei nonni,  e ricevere dall’austero direttore le buste  di carta con 2 carrube,  1 dattero e 2 fichi secchi, cantando di ritorno “Evenu Shalom Alechem”.
Questo succedeva prima dello Stato di Israele del 1947.
BIGI poi mandava i nuovi immigrati dai paesi arabi a piantare alberi in tutta Israele,  cosi sono nate le foreste della Galilea, quelle attorno a Jerusalem e nel Neghev che ogni volta faccio notare, con orgoglio, anno dopo anno alla “povera” Donata le piccole piantagioni nei wadi.
Era il KKL il fondo mondiale ebraico che pensava di coprire la Palestina, poi Israele di verde.
I Turchi nel secoli pensavano solo di abbatterli gli albeeri per fare carbone, e gli arabi con le capre nere a distruggere ogni macchia mediterranea.
Mark Twain nel 1867 visitando la Palestina l’ha descritta “la più desolata dei Paesi del mondo e senza speranza”. Questo era vero prima dell’arrivo dei pionieri ebrei dall’Est Europa, nel 1880, e la prima cosa che hanno fatto fu piantare alberi.
I villaggi ebrei sono immersi nel verde, quelli arabi senza giardini e piante, salvo i loro orti. Mentalità radicata. Così sono.
Nei disordini arabi in Palestina sotto gli Inglesi nel 1936 -1939 gli arabi hanno bruciato tutte le foreste di KKL in Galilea.
Oggi, forse c’è ancora qualche villaggio ebraico che ancora fa quanto ho descritto, ma certamente non nelle città o villaggi religiosi – “Il cattivo dirà: troppa fatica”  (meglio stare nel HEDER a leggere la Bibbia o Talmud).

Ronen “Roni” Koresh ha portato in Sardegna nel febbraio scorso la sua compagnia,  ospite della Cedac/ Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna, la principale organizzazione di spettacoli dell’isola.

Due le piazze coperte, quella al Teatro Comunale di Sassari, e l’altra  al Teatro Massimo di Cagliari. Lo spettacolo  “La Danse & Bolero” comprende l’avvincente racconto per quadri ispirato ai celebri dipinti di Henri Matisse, figura di spicco della corrente artistica dei Fauves, dall’innovativo e già dirompente “Le bonheur de vivre” alle due versioni de “La Danse”, custodite rispettivamente al Museum of Modern Art di New York e al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo e l’inedita coreografia ispirata al “Boléro” di Maurice Ravel, costruita su una metrica incalzante e ipnotica, in un crescendo ricco di energia e pathos culminante nel travolgente e quasi parossistico finale.

«Penso che questi due lavori siano una meravigliosa rappresentazione della versatilità e della capacità della Koresh Dance Company di esplorare molti aspetti diversi della vita e della danza» – ha affermato il coreografo e direttore artistico Ronen “Roni” Koresh .

La Dance”, trasfigurazione coreutica dell’arte di Matisse su musiche composte da John Levis, impreziosita dai testi poetici scritti e recitati da Karl Mullen, nasce da uno spunto quasi autobiografico: «Il poster de “La Danse” era appeso nella mia camera da letto quando ero bambino, e mi piaceva per i colori e il disegno dei corpi, ma non lo guardavo da persona matura, ero un bambino… e l’ho adorato» – racconta Ronen Koresh –. «Cinque anni fa, questo dipinto è apparso su Facebook insieme alla storia di un’opera di Matisse rubata a una famiglia durante la seconda guerra mondiale e successivamente recuperata e restituita ai legittimi proprietari. Allora si è risvegliato di nuovo il mio interesse, mi sono soffermato a guardarlo, ma questa volta con occhi diversi. Ho iniziato a vedere il vero significato dietro a questo meraviglioso dipinto. Potevo vedere la vita intorno a noi, il cielo blu e la terra verde e le persone in cerchio che si aggrappavano. Potevo vedere il dolore, potevo vedere la gioia, potevo vedere la lotta e la forza all’interno del cerchio della vita. Questo mi ha ispirato a creare le mie storie su ciò che avevo vissuto, guardando il dipinto. Il mio lavoro come coreografo si occupa di umanità, relazioni e comunità. Ecco perché questo dipinto era perfetto per ciò che aspiro a creare».

Tra i capolavori della storia del balletto, il “Boléro” di Maurice Ravel, creato per Ida Rubinštejn (che lo eseguì per la prima volta all’Opéra national de Paris il 22 novembre 1928, con la coreografia di Bronislava Nijinska), ha affascinato grandi coreografi: «Ho sempre voluto coreografare il “Boléro” e sono sempre stato ispirato dalla musica di Ravel» – rivela Ronen Koresh –. «Trovo che abbia molti strati diversi e poiché molti coreografi si sono espressi attraverso questo particolare brano musicale, ho voluto condividere anche la mia interpretazione. Dopo molti tentativi, ho trovato la mia strada attraverso la grande quantità di infinite espressioni, ed è così che il mio “Bolero” ha preso vita. Nel mio studio c’era una finestra sull’atrio, dove i ragazzi si incontrano per socializzare e aspettano l’inizio della lezione dopo le mie prove. Ci stavano guardando mentre provavamo Boléro, e io ho guardato attraverso la finestra e ho visto tutti i bambini che ballavano intorno. Erano davvero buffi e si muovevano in modo molto naturale seguendo la musica. Sono rimasto stupito e ho pensato: “ecco il mio Bolero”. È stato proprio lì, con i bambini intenti a ballare senza paura, con la semplicità e l’innocenza dell’infanzia, che ho trovato l’ispirazione per creare la mia versione del “Bolero”. Il coreografo israeliano non teme i confronti con i grandi maestri: «Il passato mi ha sempre guidato e mi ha portato dove sono oggi, quindi sono grato a tutti i grandi coreografi che sono venuti prima di me. Ho imparato così tanto da loro e oggi esprimo le mie esperienze. Spero di essere un’ispirazione per i coreografi più giovani che verranno».

«La danza è la mia vita e la vita è una danza» – dichiara Ronen “Roni” Koresh –. «Fin da quando ero bambino, mi è sempre piaciuto mostrare ad altri bambini i passi che stavo inventando. Mi piaceva condividere il movimento con le persone. Penso che sia stato l’inizio della mia carriera di coreografo. Amo la narrazione. Amo intrattenere le persone e amo condividere il mio amore per l’arte, specialmente attraverso la danza». Tra i suoi maestri, gli insegnanti che hanno contribuito alla sua formazione, l’artista cita: «In Israele mia madre, Yona Koresh, e poi Alida Gera, Micah Deri, Nira Paz, Moshe Romano. In America Martha Graham, molti insegnanti di Alvin Ailey, Shimon Brown, Luigi e molti altri».

Nel 1991 il coreografo ha fondato la sua compagnia, la Koresh Dance Company: «Ho sempre avuto un certo talento nel creare la danza, nel costruire coreografie per gli studenti. Quando insegnavo alla University of the Arts, ho visto molti studenti laurearsi e la prima domanda che si ponevano era: “dove vado da qui?”. Non era facile trovare una risposta, perché non c’erano molte compagnie di danza in giro mentre c’erano molti ballerini» – ricorda Ronen “Roni” Koresh –. «I miei danzatori mi chiedevano di fondare una compagnia. Ero spaventato. Non pensavo di poterlo fare, ma quando mi sono guardato intorno e ho visto tutti quei meravigliosi volti di artisti pieni di talento, ho deciso di farlo. È stata una decisione difficile e ha richiesto un grande impegno, tanto duro lavoro. Ci sono voluti molti anni perché la compagnia si affermasse e diventasse ciò che è oggi. Col senno di poi, è stato un modo per me di restituire qualcosa alla mia comunità».

Come nasce una coreografia? «La mia ispirazione viene principalmente dalle persone e dagli eventi che danno forma alle nostre vite, e dal desiderio di affinare la mia capacità di comunicare in modo più efficace e significativo attraverso l’arte della danza» – dichiara Ronen “Roni” Koresh –. E annuncia: «Il mio prossimo progetto si chiama “Masquerade”: è una creazione collettiva, un’opera teatrale impreziosita dalla presenza del canto e della danza dal vivo. Il pubblico si troverà immerso in un ambiente imprevedibile, di nuova musica elettronica e sinfonica e di movimento, che mette in risalto lo spazio liminale della realtà che si ripiega su se stessa. Il confine tra realtà e finzione non esiste più. La verità appartiene all’immaginazione di chi guarda».

Le sue origini ebraiche hanno influenzato il suo lavoro? «La mia eredità ebraica e il fatto di vivere in Israele mi hanno dato la possibilità di fare molte esperienze uniche nella vita, che differiscono da quelle degli altri. Il cibo, il clima, le persone, la diversità delle culture all’interno del paese e della comunità e l’aver dovuto prestare servizio militare all’età di 18 anni mi hanno permesso di apprezzare la libertà e il senso di responsabilità. Non do mai nulla per scontato nella mia vita e il concetto di limite è fuori dall’equazione».

L’arte può cambiare la società? «Io credo senza dubbio nel potere delle arti; in caso contrario, non vi avrei dedicato la mia vita» – sostiene Ronen “Roni” Koresh –. La pandemia ha avuto delle conseguenze sul suo lavoro? «La pandemia ha sicuramente influenzato il mio lavoro e il modo in cui lavoro» – rivela il coreografo –. «Ha aggiunto un’urgenza a tutto ciò che faccio e mi ha fatto apprezzare maggiormente le opportunità che si presentano a ciascuno di noi». E conclude: «Non dare mai nulla per scontato, fai sempre meglio che puoi e sii consapevole delle tue fortune (Never take it for granted, always do the best that you can ,and count your blessings)».

Nel nostro tempo attraversato da guerre e epidemie, quale messaggio vorrebbe affidare alle sue opere? «Non importa quanto le cose sembrino difficili, la vita è meravigliosa».

La Danse - ph contigo-photos-and-films-smr medium

Nella giornata internazionale del ricordo delle vittime della Shoah, risalta una vicenda che vede un’intreccio fra ebraismo e sardismo, pochissimo conosciuto. Un sipario, accuratamente abbassato sulla storia di una grande famiglia sarda, che tanto ha caratterizzato il progresso economico e sociale della nostra Isola ed in particolare di Macomer lo alzò Nereide Rudas, deceduta il 19 gennaio 2017 a 91 anni, nel finale della propria vita.

La Rudas, da nubile era una Salmon Rudas perchè il padre Pietro Rudas era un ingegnere di Laerru e aveva sposato Emma Salmon di famiglia ebraica, figlia di ebrea anche se convertita e quindi per le antiche leggi Nereide stessa era ebrea e lo aveva sempre saputo se pur timorosamente celato.

A quattro anni perse il padre e con la madre si trasferì a Macomer vivendo con i nonni Gustavo Coen Salmòn e Nereide Tibi figlia di Martino e gestore, sembra proveniente da Torino e probabilmente anch’esso ebreo ma da accertare , dell’Albergo Macomer dove Gustavo alloggiava.

A 17 anni fu una delle tre donne iscritte alla Facoltà di medicina di

Bologna.

Si sposò a 19 anni col medico Carlo Marongiu, ebbe un figlio continuando a studiare ma un’improvvisa vedovanza le impose di continuare in solitudine gli studi di Medicina nell’Università di Cagliari nella quale si laureò intraprendendo la carriera universitaria.

Da grande sarda, fu docente e psichiatra di fama internazionale, di enorme cultura ed umanità, dopo una vita di studio, d’impegno culturale e civile , realizzazioni e grandi successi professionali e scientifici ci ha lasciato da pochi anni.

Nei suoi ultimi tempi stava ri-conoscendo e approfondendo l’eredità delle sue radici ebraiche per parte della mamma Emma, figlia di Gustavo Coen Salmon, ebreo venuto in Sardegna da Livorno nel 1895 per una partita di caccia.

Gustavo decise mettendo su famiglia e sposando Nereide Tibi, di rimanere investendo le sue cospicue ricchezze e soprattutto conoscenze economiche e finanziarie impiegandole in vari settori e con gran successo.

Acquistò terre, aprì caseifici moderni, iniziò la loro esportazione nelle Americhe, costruì la prima centrale elettrica, prestò denaro ad interesse più basso delle banche e battendo l’usura che attanagliava pastori e contadini, fabbricò ville e palazzi.

La sua famiglia Coen Salmon, sefardita cacciata dalla Spagna dopo l’editto del 1492 e approdata in Algeria, era fuggita da Algeri nel 1805 per sfuggire ad un pogrom islamico scatenato contro la comunità ebraica locale e approdando a Livorno.

Oscar, fratello di Emma Salmon, quindi zio di Nereide Rudas, ritornato dalla Grande guerra da eroe fu fra i fondatori del PSdAz e probabilmente fra gli organizzatori nella logistica dei primi congressi dei combattenti e poi del PSdAz a Macomer .

Anche Gustavo Salmon il nonno di Nereide, grande imprenditore in svariati campi e innovatore economico e tecnologico che contribuì alla nascita della Macomer moderna, sostenne il sardismo e fu sempre antifascista.

Per questo fu ammonito e posto sotto sorveglianza dopo la svolta antisemita del regime fascista e divenne vittima dell’applicazione delle severissime norme contro gli ebrei anche in relazione alle attività imprenditoriali.

Non conosco i particolari della persecuzione dell’intera famiglia, se venne attuata o solo minacciata o anche se abbia beneficiato in qualche maniera della copertura conseguente alla particolarissima vicenda del sardofascismo che aveva visto una parte dei sardisti vestire la camicia nera mantenendo saldi gli originari principi sardisti .

Neanche il passaggio al cattolicesimo per potersi sposare lo salvò completamente e in quanto ebreo fu anche minacciato di deportazione che non avvenne forse per rispetto per il figlio ex combattente decorato al valore e per l’amicizia del Vescovo di Bosa al quale, moderno Marrano, aveva donato il Giardino Salmon nel quale venne costruita la chiesa ancora esistente .

Nella facciata della chiesa il Vescovo fece inserire nel rosone una grande stella di Davide, forse per ringraziamento all’amico e mecenate, stella che appare in foto d’epoca e oggi misteriosamente scomparsa.

Dopo l’8 settembre 1943 quando in continente imperversavano i nazisti e i repubblichini, arrestando gli ebrei ed avviandoli nei lager per lo sterminio, la Sardegna fu liberata e occupata dagli Alleati che avanzavano nella Penisola. Scomparve per i Salmon il rischio di essere prelevati e assassinati come avvenne ad esempio per gli ebrei dell’Italia nazifascista e del Dodecanneso italiano ed in particolare a Rodi e lo zio di Nereide il sardista Ugo Salmon fu nominato Commissario prefettizio.

Nereide che in gioventù assieme a tutta la famiglia subì l’umiliazione e la minaccia alla sicurezza e la paura di persecuzione conseguente alle leggi razziali fasciste che richiedevano prove e gradi di arianità sempre più stringenti risalendo anche alle più lontane parentele ebraiche, anche in discendenze miste , raramente affrontava questo lato della sua vita e solo negli ultimi tempi aveva iniziato un percorso di autoanalisi e di svelamento pubblico di una sua identità ebraica oltre che sarda e che stava riscoprendo e rivalutando.

Ne parlava con pochi amici che sentiva aperti e sensibili nei riguardi della sua identità ebraica che con sofferenza interiore estraeva dai ricordi terribili della sua giovinezza che aveva vissuto l’antisemitismo che come un fumo venefico aveva circondato la sua famiglia, ma che anche avvelenava in qualche misura come antisionismo l’ambiente di sinistra al quale politicamente faceva riferimento per cui visse con tante remore e timori di rivelare le proprie origini ebraiche.

Sul sardismo e l’ebraismo furono incentrate alcune sue riflessioni negli ultimi anni della sua vita e aveva registrato con curiosità ed interesse la nascita e le attività dell’Associazione Chenàbura-sardos pro Israele e manifestato il desiderio di incontrare qualche suo rappresentante, dato che questa nascita le aveva sollecitato tanti ricordi e la sensazione liberatoria di non essere più sola.

Anche da parte mia era grande l’interesse per un incontro.

La conoscevo già ma non da questo punto di vista perché la sua origine ebraica non mi era nota .

Purtroppo ci lasciò prima che potessi vederla e parlarci ma comuni amici che stavano preparando l’incontro mi hanno raccontato del suo desiderio di riappropriarsi della sua eredita culturale ebraica, rammaricandosi di averla dissimulata anche per una timorosa autocensura rispetto alla cultura dominante nella sinistra italiana e sarda a cui faceva riferimento permeata di antisionismo come forma ambigua di antisemitismo.

Sta adesso agli storici e agli appassionati di storia approfondire questo mio appunto e ricordo .